Il Suiseki è un’arte Giapponese che comprende la ricerca, la lavorazione e la presentazione di pietre raccolte in natura con delle caratteristiche particolari. Valorizza aspetti come la stabilità, la longevità e l’immortalità.Queste pietre vengono apprezzate per il loro valore estetico, decorativo e sono atte a favorire la meditazione, affiancandosi all’arte del bonsai.

Le sue origini risalgono a circa 2.000 anni fa, ma fu solo nel 6° secolo D.C. che dei monaci Buddisti portarono in Giappone alcune pietre Cinesi.

I Giapponesi adattarono quest’arte al loro gusto e la praticano tutt’ora .
Per i Buddisti la pietra simboleggiava il Monte Shumi, una mitica montagna sacra, che si credeva fosse il centro dell’Universo. Per i Taoisti la pietra simboleggiava Horai, il paradiso Taoista. Per i credenti della filosofia Cinese del “YIN-YANG” ( in Giappone in-yo ) rappresentava le due forze fondamentali dell’universo , lo yang (duro, solido, secco, caldo, brillante, forte, rugoso, penetrante) la pietra, e l’acqua lo yin (soffice, dolce, umido, freddo, scuro, misterioso, debole, passivo, delicato, sensitivo e recettivo) .
Inizialmente, prima di diffondersi più ampiamente nella popolazione, i Suiseki erano utilizzati dalla casta colta per meditare, ragionare e fare apprezzamenti sul mondo e la natura, per un appagamento culturale con forti richiami filosofici, mitologici e religiosi.  Anche una volta arrivata in Giappone questa arte iniziò a diffondersi prima tra i ceti più istruiti applicandone i concetti estetici usati anche per i bonsai e studiando e filosofeggiando sull’argomento.

Nella sottile arte del SUISEKI la pietra non è la rappresentazione materialistica di qualcosa ma un simbolo, un’immagine ideale e serve come sostituto per i magnifici panorami ideali sperimentati nei sogni.

Esse son un tramite tra cielo e terra essendo mezzo per estendersi nel cielo ed al contempo rappresentare la terra.

 

Ci sono innumerevoli classificazioni delle pietre Suiseki per tipo, forma, colore, origine.. ma di base, al di la di ogni altra qualità richiesta, dovreste sentire la bellezza della superficie.

I più grandi sono tenuti all’esterno, in giardino o a decorare un portone, anche se quelli di maggior valore sono quelli di dimensioni più contenute.

Negli anni ’80 il suiseki ha iniziato a ricevere interesse e a diffondersi anche in America e in Europa.

Per la stagione SS24 noi di Southfresh abbiamo voluto creare delle grafiche che stimolassero il pubblico all’approfondimento della sottile arte del SUISEKI, che è presente anche in Italia, creando una nuova tipologia di Suiseki Salentino caratterizzato dai nostri LICHENI.

Come nel bonsai anche nel suiseki si introducono i concetti di wabi-sabi, yugen e shibui in quanto questi valori estetici ben si adattano a descrivere il suiseki fortemente influenzato dallo zen e dal Buddismo. Sono correlati alla cerimonia del Tè e con gli Haiku ed hanno un significato profondo.

WABI-SABI(侘寂) costituisce una visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accettazione della transitorietà e imperfezione delle cose. L’espressione deriva dalle due parole wabi e sabi. Le sue caratteristiche estetiche comprendono: asimmetria, asprezza, semplicità, modestia, intimità e suggestione di processi naturali. Da un punto di vista occidentale può essere visto come la «bellezza delle cose imperfette» venendo associato a caratteristiche fisiche quali imperfezione, rozzezza, età o alterazione, i quali tuttavia non sono né sufficienti né adeguati a spiegare l’essenza del concetto. Più che essere collegato ad un elenco di caratteristiche fisiche, wabi-sabi è una profonda coscienza estetica che trascende l’aspetto esteriore.

L’immagine classica del Wabi è quella di una capanna di pescatore abbandonata o di una spiaggia solitaria battuta dal vento o di una grigia giornata invernale .

L’immagine del Sabi è spesso suggerita dalla patina, dalla corteccia invecchiata o da altri segni del tempo .

 

Il concetto di wabi (“semplice e austera bellezza”) può essere spiegato come «un apprezzamento estetico della povertà», con quest’ultima intesa nel senso più romantico del termine, ovvero quale rimuovere il peso delle preoccupazioni materiali dalle proprie vite. L’estetica wabi, inoltre, volge la sua attenzione verso quegli utensili con piccole imperfezioni rispetto a quelli che apparentemente sono perfetti, e oggetti rotti o danneggiati, a patto che siano stati ben riparati, più di quelli integri. Il concetto della sottostimata bellezza del wabi è stato riconosciuto e apprezzato per la prima volta quando è stato espresso in poesia; il suo significato originale era “triste”, “desolato” e “solitario”, ma poeticamente è stato spesso utilizzato per descrivere qualcosa di semplice, immateriale, umile e in sintonia con la natura. La cerimonia del tè (cha no yu) esemplifica questo atteggiamento verso la vita nell’elegante semplicità della casa da tè e dei suoi utensili, che contraddicono l’idea che la bellezza comporti grandiosità e opulenza.

 

Originariamente la parola sabi (“patina rustica”) significava “desolazione”, solo successivamente il termine acquisisce il senso di qualcosa che è invecchiata bene, stagionata, arrugginita o che abbia acquisito una patina che la rende bella; infine nel XIII secolo il significato di sabi si evolse fino a significare «trarre piacere dalle cose vecchie» ma pure quello di «tranquillità, isolamento e solitudine profonda». Alcuni esempi di sabi possono essere la superficie ricoperta da licheni di una pietra o un albero, il ramo appassito di un ulivo affetto da xylella e tutti quegli oggetti che portano il peso dei loro anni con dignità e grazia.

Izanagi (イザナギ) o Izanaki è una divinità shintoista il cui nome significa “Colui che invita“, fratello e compagno della dea Izanami (“Colei che invita“)

Il termine shibusa (渋さ) o shibui (渋い) si riferisce al tipo più elevato di bellezza; esso coniuga insieme le caratteristiche contrastanti di “ruvidità” e di “raffinatezza”. Nel 1960 Yanagi Sōetsu, direttore del Museo di Arti e mestieri popolari di Tokyo, descrisse shibusa come avente sette qualità: la semplicità (ovvero qualcosa di austero, disadorno e non abbellito, in quanto qualcosa di complesso non può incarnare il concetto si shibusa; un buon esempio sono gli interni di una casa tradizionale giapponese), l’implicito (si riferisce al significato intrinseco o qualcosa di profondo che si deve avere se si vuole evitare di essere poco profondi o superficiali; un esempio è il giardino zen del tempio Ryōan-ji a Kyoto, il cui semplice assemblaggio fatto di sassi e ghiaia lascia libero spazio alle interpretazioni sul suo significato), la modestia (l’oggetto shibui non fa valere la sua presenza né sottolinea la personalità del suo artista o dell’artigiano, esso tende ad esaltare ciò che lo circonda piuttosto che se stesso), la tranquillità (oppure serenità, compostezza, sobrietà, calma e silenzio; un esempio è la cerimonia del tè, tra i cui elementi vi sono la ricerca della serenità e della pace: queste ultime vengono catturate in molte sculture buddiste, composizioni floreali, e in altre manifestazioni artistiche), la naturalezza (ciò che è shibui non può essere artificiale; l’imperfezione e l’asimmetria degli oggetti, i materiali naturali utilizzati e i colori definiti “fangosi”, sommessi e tranquilli hanno il compito di non attirare l’attenzione su di essi), la ruvidezza (gli oggetti shibui, in quanto naturali, sono spesso irregolari al tatto; tutto ciò che si trova in natura come la corteccia di un albero o un sasso muschiato soddisfa questa caratteristica) e la normalità (gli oggetti shibui devono essere lontani dalle anomalie, essi devono essere forti e robusti e ricalcare l’ideale della purezza, uno dei cardini dello Shintoismo; qualcosa di troppo complesso o lussuoso è sinonimo di anormalità).

 

Il concetto di shibusa, il quale esalta tutto ciò che non è finito, può andare in contrasto con il principio opposto della pedagogia tradizionale in cui ciò che viene lasciato incompiuto è visto come una debolezza o una carenza; l’“incompletezza” tipica di shibusa, tuttavia, è vista come una chiamata a partecipare piuttosto che come motivo di rimprovero. Inoltre la bellezza degli oggetti shibui non è una bellezza creata ad hoc dall’artista per ammaliare l’osservatore, bensì lo scopo del creatore è invitare egli a trarre la bellezza dagli oggetti al suo posto, elevando allo stato di artista l’osservatore stesso.

Il concetto di yūgen (幽玄) appare agli inizi del X secolo, non venendo tuttavia largamente utilizzato fino al periodo Kamakura. Può essere considerata la meno definibile tra le idee estetiche giapponesi, e la sua esatta definizione dipende dal contesto in cui viene usata. Benché il termine possa essere tradotto letteralmente come “leggermente scuro”, esso non serve solamente a descrivere il fascino delle cose in penombra di cui non si riesce a conoscere del tutto i limiti e i particolari, ma viene usato anche con senso più ampio, per indicare ciò che, essendo oscuro, è insondabile, misterioso e imperscrutabile. Difatti, un’altra definizione di yūgen implica nell’arte giapponese le capacità misteriose che non possono essere descritte a parole; il termine letterario “simbolismo” è considerato il più vicino al significato di questa parola giapponese.

Il teatro Nō è l’arte nella quale la nozione di yūgen ha avuto il ruolo più importante. L’attore e drammaturgo Zeami Motokiyo (13641444) è uno dei primi ad adottare e impiantare il concetto di yūgen, in questo caso inteso come “grazia profonda”, al teatro. Egli lo associa con la cultura più raffinata della nobiltà giapponese, e con il loro linguaggio in particolare, pensando che anche nel Nō vi sia “grazia della musica”, una “grazia di interpretazioni [di ruoli diversi]” e una “grazia della danza”. Inoltre Zeami descrive tale “grazia” come qualcosa che dà luogo a «quei momenti di sentimento che trascendono la cognizione e a un’arte che si trova al di là di qualsiasi livello, che l’artista può aver consapevolmente raggiunto».Perciò il teatro Nō si presta in particolare modo al concetto precedente di “indefinibile” (o anche “soprannaturale”), in quanto le sue forme di dizione, gesti, andature e movimenti di danza sono tutti altamente stilizzati ed estremamente innaturali: essi, insieme alla musica, invitano lo spettatore a partecipare alla creazione di una più profonda realtà spirituale. Inoltre, l’indossare una maschera e i testi impliciti contribuiscono alla libera interpretazione dell’opera da parte del pubblico.

Con questo articolo vi abbiamo davvero riempito di nozioni e, come spesso succede, probabilmente sarete già corsi via verso qualcosa di più cheap e easy,

Ma ! potrebbe anche essere, che vi abbia stimolato nell’approfondire qualcosa di nuovo, cosi tanto lontano ed al tempo stesso vicino al nostro pensiero. 

CREDITS:

L’ Arte del Suiseki – Vincent T. Covello e Yuji Yoshimura 

artedelsuiseki.it

bonsaiempire.it

bonsaicalabria.it

ikigaibeauty.it

japanobjects.com

easternleaf.com

Wabi Sabi. La filosofia dell’imperfezione – di Nobuo SuzukiEdizioni Mediterranee .

wikipedia.org